A me piace il
buon italiano, e nei miei limiti ho sempre cercato di parlarlo e scriverlo
bene. Anche perché è una lingua ricca, molto espressiva. Per questo motivo spesso rimango infastidito dal cattivo uso dell'Italiano, sopratutto in certe situazioni. Ad esempio quando viene istituzionalizzato sia nel senso esteso che letterale del termine. Di questo ne ho già ampiamente discusso in un pensiero, "Italicus", di questa sezione "Notebook" dedicata alle cose italiane. Si dice che noi italiani siamo fantasiosi, ed anche in questo campo quindi non ci fermiamo nello sfornare novità. Una, che avevo già notato ma si è evidenziata in questo periodo grazie alle numerose offerte natalizie, è quella delle compagnie telefoniche che offrono servizi a "Zero". Il buon vecchio termine "gratis" è forse passato di moda?. Certo che no, ma quello che deprime, e che forse non ho correttamente sottolineato nel precedente pensiero, è che le società pubblicitarie hanno a disposizione sondaggi sulle abitudini ed i gusti della gente, sui quali si basano per costruire le loro campagne. Pertanto avranno verificato che nella testa della gente risulta molto più incisivo parlare di "zero" piuttosto che di "gratis" pur essendo il termine corretto per indicare un servizio che non implica costi per la sua fruizione. Va da se che per lo stesso motivo usano impropriamente il verbo fare, discusso nell'altro pensiero: avranno verificato che le persone più sensibili al messaggio pubblicitario usano, e quindi sentono più amichevoli, le note obbrobriose espressioni "fare i piatti", "fare la lavatrice" e via discorrendo. Mi sembra inutile sottolineare come tutto questo sia abbastanza deprimente, perché non solo il livello medio si rivela essere piuttosto basso, ma, come dicevo, le pubblicità, anziché essere un viatico per il buon italiano lo deprimono adattandosi verso il basso. Dicevo anche della istituzionalizzazione dei termini errati, o quantomeno curiosi, e recentemente ho verificato una cosa cui non avevo mai prestato attenzione. Come noto, per tutelare il vino ed altri prodotti alimentari, sono nate delle certificazioni, di cui la più famosa è certamente la "D.O.C.", Denominazione di Origine Controllata. Ne esistono anche di curiose, come la "D.O.P.", la Denominazione di Origine Protetta, la quale se ben ci riflettete, tutela solo il produttore che vede protetti i suoi prodotti, ma non il consumatore, perché non indica che questi prodotti siano anche di buona qualità. Intendo dire che se, ad esempio, un formaggio di una certa zona gode della certificazione D.O.P. per proteggerlo dalle imitazioni, non è detto che tutti i produttori di quel formaggio lo sappiano fare a livelli di eccellenza!. Se vogliamo esser precisi anche la D.O.C. non fa questo servizio, tuttavia essa è nata specificamente per tutelare proprio i prodotti riconosciuti di qualità, e quindi il concetto di qualità é insito nella genesi della definizione, anche se non dichiarato. Mi ha incuriosito molto, ed è per questo che parlo di queste certificazioni, la "D.O.C.G.", Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Ci risiamo con le abitudini italiche: se una cosa viene controllata, non è forse conseguenza diretta di questo controllo la garanzia che le cose stanno come richiesto?. Altrove forse si, ma qui una cosa, seppur controllata è necessario specificare che è anche garantita, facendone addirittura due livelli diversi di certificazione, ammettendo implicitamente che coloro che sono preposti a controllare non facciano il loro lavoro con tanto scrupolo. In teoria quindi il termine "garantita" dovrebbe essere solo una ridondanza, perché il controllo implica la garanzia, in pratica si dimostra ancora una volta che in Italia tutti i termini che indicano qualcosa di preciso direttamente o indirettamente, rimangono, comunque "interpretabili", un po' come il semaforo rosso che in certe parti d'Italia e solo un consiglio a fermarsi. |